Cap.12
…E,
se è per questo, neppure le prime cazzate scolastiche non si
dimenticano mai piuttosto facilmente.
Ma in
assoluto la pazzia più bella con Heliza è stata quella che abbiamo
combinato nei primi mesi del 1993.
Mi ricordo
ancora la data.
Era il 12
gennaio 1993.
Quella
mattina avevamo 2 ore buche perché mancava la professoressa di inglese
e così decisi di prendere l’autobus e andare a casa di Heliza, per
fare colazione da lei e poi alle dieci andare a scuola con lei.Una volta
arrivata da lei, Heliza mi accoglie con un sorriso e mi prepara un caffè,
mentre come sottofondo ci svegliamo con Smoke On The Water dei
Deep Purple che ci mette la carica giusta per iniziare la giornata.Alle
dieci ci avviamo alla fermata dell’autobus, ma la voglia di andare a
scuola proprio non ce l’abbiamo. Ci guardiamo in faccia, capendo al
volo l’idea che ci stava balenando in testa. Scuola? Oh, no, troppo
scontato. Perché non ce ne andiamo da qualche parte? Peccato che non
abbiamo né la macchina, né la moto. Beh, noi magari no, ma ci sarà
qualche altra persona al mondo con uno straccio di macchina che si degni
di darci un passaggio da qualche parte… o no?!E così io ed Heliza ci
ritroviamo alla fermata dell’autobus a fare l’autostop, ridendo e
divertendoci un mondo della nostra incoscienza.Quasi non ci sembra
possibile quando una bella auto sportiva si ferma e dal finestrino
compare il viso di un bel ragazzo tra i 25 e i 28 anni dalla carnagione
abbronzata e gli occhi scuri che ci saluta con un sorriso sornione.
“Ehi,
ragazze!Serve un passaggio?”
Come
sempre, prendo la parola io. Adoro condurre il gioco.
“Beh,
non proprio.. sinceramente una meta non ce l’abbiamo… volevamo solo
farci un giro”
“Allora,
perfetto… io sono diretto a Santa Cruz de la Sierra… venite con
me?”
Io ed Heliza
ci guardiamo, incredule ed eccitate all’idea.
“Subito!”
esclamo io, entrando in macchina seguita da Heliza. Lei mi guarda con un
sorriso estasiato ed entrambe ridiamo divertite all’idea della pazzia
che avevamo appena cominciato.Teniamo i finestrini aperti mentre
l’auto vola sull’autostrada e il vento fresco mi scompiglia i
capelli. Con gli occhiali da sole a mascherina guardo fuori con un
gomito appoggiato alla porta dell’auto mentre il sole mi illumina il
viso.
Ah, libertà,
libertà… posso fare l’autostop e andarmene in giro per il mondo
fregandomene di tutto il resto… posso rischiare e farmi male, ma non
m’interessa… voglio solo vivere, muovermi e non fermarmi mai. Voglio
solo essere libera di fare ciò che voglio quando voglio. Voglio solo
non sprecare neppure un attimo di questa breve e incasinata vita. Voglio
vivere ogni ora, ogni minuto, ogni secondo fino in fondo, non mi voglio
risparmiare niente, voglio provare tutto quello che c’è da provare,
voglio una vita piena e movimentata, voglio fare quello che gli altri
non hanno le palle di fare, voglio essere tosta e libera e sfrontata e
tutto quello che mi passa per la testa. Sono uno spirito libero. Chissà
se mai riuscirò a mettere questa maledetta testa a posto.
Il ragazzo
che ci sta dando un passaggio mette su una cassetta di Billy Idol,
infilandosi poi un paio di occhiali scuri. Heliza, seduta nei posti
dietro, mi prende la mano per farmi girare e scambiarci un’occhiata
eccitata. Mi volto di nuovo per guardare fuori scostandomi una ciocca di
capelli dal viso e sorridendo mentre Billy Idol canta Dancing With
Myself.
Scopro che
quel ragazzo si chiama Marcos, che ha 28 anni e si è separato da pochi
mesi, ha una bimba di 6 anni di nome Estéla. La lingua di Marcos è
irrefrenabile, in un’ora e mezza di viaggio ci racconta tutta la sua
vita. Noi ascoltiamo senza fare particolari commenti, scambiandoci
un’occhiata e un sorriso ogni tanto. Mi perdo nelle note di Enola
Gay degli OMD, troppo concentrata sull’esperienza che sto vivendo
per badare troppo alle sue storie. Che pazzia, non vedo l’ora di
raccontarla alle mie amiche, se non ci fosse anche Heliza non mi
crederebbero mai! Mi piace il vento che mi soffia in faccia, mi piace
osservare la gente nelle altre auto, mi piace questa musica, mi piace
questa libertà, mi piace essere qui con Heliza, mi piace tutto.
Dopo 3 ore di
viaggio, arriviamo a Santa Cruz. L’enorme statua di Gesù Cristo
all’ingresso della città ci da’ il benvenuto. Santa Cruz della
Sierra è la città più popolosa della Bolivia, inoltre è capoluogo
del dipartimento di Santa Cruz e della provincia di Andrés Ibáñez.
Conta più o meno un milione e mezzo di abitanti, se non sbaglio; noi li
chiamiamo i cruceños.
Marcos
parcheggia l’auto, noi lasciamo gli zaini lì e usciamo. A gennaio qui
in America Meridionale è estate, sono più o meno 30 gradi, il sole
brilla e un leggerissimo venticello rende il caldo meno opprimente. Io
ho una maglia nera attillata con lo scollo a V e il disegno di un
teschio rosso, un paio di jeans al ginocchio, le infradito nere e gli
occhialini a mascherina. Heliza invece indossa un top senza maniche
azzurro e un paio di jeans blu scuro con le scarpe da ginnastica. Io e
lei ci guardiamo. Ci scambiamo un sorriso.
L’avventura
ha inizio!
Marcos ci
porta in giro per la città, gironzoliamo per il centro scambiandoci
commenti sui vestiti in vetrina e sulla gente del posto. Marcos ci ha
prese in simpatia e comincia a chiederci di noi, della scuola, dei
ragazzi. Noi chiacchieriamo iniziando il discorso una e finendolo
l’altra, come se potessimo leggerci nella mente.Marcos ci paga i
biglietti dell’autobus che ci porta fino al famoso giardino botanico e
zoologico di Santa Cruz, dove ci paga pure l’ingresso ad entrambe!
Adoro gli animali e la visita mi piace molto. Nello zoo troviamo solo
animali della fauna tipica locale, ovvero: il raro “orso con gli
occhiali” (buffissimo ma anche carinissimo!), il giaguaro, la vicuña
(una specie di cammello senza gobba e un po’più piccolo), il lama,
l'alpaca (simile ad una pecora, il suo mantello è molto pregiato ed è
un antenato del vicuña), il formichiere, il tapiro, il capibara (il
roditore più grosso del mondo, pesa più di un maiale!) , la tartaruga,
l'alligatore e il condor. Heliza e io ci divertivamo un mondo a
fotografarli e a fotografarci nelle pose più strambe immaginabili
mentre Marcos ci guardava e ridacchiava divertito pensando probabilmente
qualcosa tipo “Ma quanto pazzerelle sono queste?!”!
Verso l’una
torniamo in centro e ci fermiamo in una pizzeria a prenderci una pizza
rossa e berci una birra fredda. Marcos ci paga tutto anche
stavolta, noi non ci facciamo grandi problemi ed accettiamo di buon
grado queste sue gentilezze.
Nella
pizzeria si diffonde la bellissima voce di Annie Lennox degli Eurythmics
con la sua There Must Be An Angel. Ce l’ho quella canzone, nel
Greatest Hits uscito nel 1991. La canticchio tra un boccone e l’altro.
Attorno a noi è pieno di tavolate di ragazzi, perlopiù studenti
immagino, che ridono e scherzano e fanno un casino bestiale. Ma noi 3
non siamo da meno. Con Marcos è una battuta dietro l’altra, sembra
che ci conosciamo da una vita!
Sorseggio la
mia birra fredda tra una chiacchiera e l’altra, assaporando la libertà
di quei momenti. Io ed Heliza decidiamo che sarebbe un’idea fantastica
se potessimo telefonare alle nostre amiche; mi viene in mente che oggi
sia Julia che Francisca sono a casa di Gisela e così, non appena finita
la pizza, ci fiondiamo in una cabina telefonica schiacciandoci l’una
con l’altra e mentre Heliza mi detta il numero di casa di Gisela
imprecando contro le mie “ingombranti forme” che la addossano alla
parete della cabina appiattendola come una sardina, io compongo il
numero.
Mi risponde
Gisela.
“Pronto?”
Io lancio una
breve occhiata complice ad Heliza, e sul momento m’invento uno scherzo
e spero Heliza lo capisca e mi dia corda.
“Salve,
sono la preside del Liceo Linguistico 'Francisco Pizarro' di La Paz.
Sono in casa i genitori di Gisela Diez?”
dico io,
cercando di dare il più possibile alla mia voce il timbro di quella
della nostra preside. Sono sempre stata bravissima nell’imitare la
gente, e la cosa non mi viene difficile.
Heliza
soffoca a stento una risata mentre io le do’ un calcio sugli stinchi
per farle capire di trattenersi.
All’altro
capo del telefono, un improvviso silenzio. Gisela deve esserci cascata.
Probabilmente avrà lanciato uno sguardo preoccupato e sconcertato alle
altre, facendo un breve esame di coscienza cercando di capire quale
marachella potessero averle scoperto e soppesando la possibilità di
staccare i fili del telefono e chiudersi in casa per 3 giorni rendendosi
irrangiungibile a tutti.
Posso quasi
vederla, immaginandomela nella mente.
Alla fine non
riesco più a resistere, e scoppio in una fragorosa risata, seguita a
ruota da Heliza che ride divertita con le lacrime agli occhi dalle
risate.
“Ehi,
vecchia caprona!!! Ci sei cascata, eh? Sono io, Anaya, tontarella!!”
esclamo io prendendola scherzosamente in giro.
“ANAYA!!!”
urla lei di rimando tra il sollevato, il divertito e l’arrabbiato.
“Mi hai fatto prendere un colpo! Stavo per staccare la spina del
telefono e darmela a gambe!”
“Ahahahahah,
lo sospettavo!!” rispondo io ridendo. Poi cerco di darmi un contegno.
“Indovina un po’ dove siamo, io ed Heliza!!”
“E’ già,
è vero, oggi a scuola non c’eravate!! Non mi dire che avete bigiato
scuola!!”
“YESSSSSSSSS!!”
urliamo io ed Heliza nel ricetivore spaccando i poveri timpani di
Gisela.
“Ehi, voi
due!! Non serve che mi distruggiate l’apparato uditorio, sapete!!”
esclama Gisela ridendo. “Insomma, allora dove siete andate a
ficcarvi?!”
“Non ci
crederai mai! Abbiamo fatto l’autostop e un tizio di nome Marcos ci ha
portate fino a Santa Cruz a vedere il giardino botanico!!”
“COOOOOOOOOSAAAA?!!”
L’urlo di Gisela ci assorda le orecchie. “Questa la devo raccontare
alle altre!! Francisca, Julia! Non avete idea di che hanno combinato
oggi quelle due pazze di Anaya ed Heliza! Hanno fatto l’autostop e si
sono fatte portare fino a Santa Cruz!!”
Baraonda
totale. Le voci di Gisela, Francisca e Julia che si sormontano. Le
uniche parole che riesco a sentire distintamente sono “Che pazze!!”
e “Fino a Santa Cruz?!”. Heliza ed io scoppiamo a ridere pensando
alla pazzesca situazione in cui ci siamo infilate.
La cabina
telefonica segna che ci restano solo 10 centesimi da spendere, mi tocca
salutare in fretta e furia le mie amiche.
“Ragazze,
dobbiamo scappare, stiamo finendo il credito dalla cabina! Comunque
appena faccio sviluppare le foto ve le porto, così avete la prova che
è la verità!! Ciaoooo” le saluto io, mentre un “tuuu-tuuu”
all’altro capo del telefono mi fa capire che ho esaurito del tutto il
credito.
Marcos ci
riaccompagna a casa dandoci un altro strappo in macchina,
accompagnandoci fino alla stazione dei treni. Lo salutiamo con un
abbraccio ringraziandolo mentre lui cerca una scusa per tirarla lunga. Lo
guardo fisso negli occhi. Lo so che cosa vuoi, lo so benissimo, ma
per oggi… ciccia! Penso fra me e me guardandolo mentre s’inventa
cose assurde pur di restare ancora un po’. Heliza coglie il
significato del mio sguardo e mi fa da spalla mentre, ridendo e
scherzando, riusciamo finalmente a filarcela.
Te
l’abbiamo fatta, cocco! Hai speso tutti quei cazzo di soldi per
portarci in giro per il mondo e come ricompensa non hai avuto nemmeno un
bacio. Tiè!
Rido e saluto
Heliza prendendo di volata il mio treno, che sarebbe partito di lì a
cinque minuti.
Una volta
arrivata in casa, rispondo alle domande di mia madre su com’è andata
la scuola inventandomi qualcosa su un’immaginaria lezione di latino e
mi fiondo in camera mia ad ascoltare musica distesa sul letto a pancia
in giù limandomi le unghie e mettendoci lo smalto nero. Metto su una
cassetta dei Jefferson Airplane (album Jefferson Airplane Loves You,
disco 1; del 1992) e la mia mente si lascia trasportare dalle note di Somebody
To Love. Ahahahaha! Inizio a ridere come una
cretina, così, la risata esce dalla mia bocca senza motivo, come se
fosse una creatura a sé. Ahahahaha! Mi hai creduto mamma mi hai
creduto! Lo sai dove cazzo sono stata, eh, lo sai? No che non lo sai! E
non lo saprai mai! Te l’ho fatta! Vorrei proprio vedere quanti altri
avrebbero avuto le palle di fare una stronzata del genere. Fare
l’autostop e andarsene in giro con un tizio sconosciuto invece di
andare a scuola… Cristo, ma l’ho fatto sul serio?! Sì, Anaya,
l’hai appena fatto, fino a poche ore fa eri lì, a Santa Cruz.
Pazzesco.
Ma allora
sono un mito! Ahahahahha!
12 Gennaio
1993. Che dire…. Decisamente una data da ricordare.
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