- IL DIARIO DI MARIKA SMITH -

( Ex fidanzata di Zip)

 

Cap.30

Notte fredda di Ottobre, sulla strada c’è soltanto un rumore oltre a quello del traffico: i miei passi decisi che sono ancora più rumorosi a causa delle scarpe con il tacco che indosso.

Mi stringo forte nel giubotto di pelle, sul mio viso un espressione orribile, arrabbiata, delusa.

Alle mie spalle altri passi, i passi affrettati di chi sta cercando di starmi dietro.

“Hey!”

Non mi volto, cammino decisa verso l’entrata del palazzo.

“Marika! Ascoltami!”

Apro il cancellino e faccio per richiuderlo alle mie spalle, ma chi mi segue riesce a tenerlo aperto e ad entrare subito dopo di me.

“Cosa ho fatto ancora? Ora spiegami cosa ho detto di male?! Ho detto qualcosa?! Marika!”

Chi mi afferra per le spalle e mi fa voltare verso di se è Zip che mi fissa negli occhi più teso di una corda di violino, il suo sguardo penetra insistente nei miei occhi.

“Ho detto qualcosa vero? Qualcosa che tu non volevi sentire”

Il mio sguardo di ghiaccio persiste, comunico tutto quello che vorrei dirgli solo con i miei occhi.

“Ok, ho detto qualcosa”

Mi scosto con la forza dalla presa delle sua forti mani, infilo le chiavi nella serratura di casa e entro sbattendo la porta.

Anche Zip entra in casa dopo di me, ovviamente sbattendo la porta, io sono già andata in camera, mi sono tolta la prima scarpa tacco 12, Zip entra in camera.

“Per una volta, per una porcaccia zozza di volta, dimmi che ho fatto!”

“Sei uno stronzo! Ecco cosa hai fatto!”

Tolgo anche l’altra scarpa, che prontamente lancio verso colui che in quel momento stavo odiando più di qualsiasi altra persona al mondo, Zip la evita chinandosi agilmente.

“Hey hey non sono concessi lanci di oggetti!! Almeno nel cuore della notte!”

“Io faccio quello che voglio”

E’ la mia risposta secca, mi rialzo dal letto avanzando verso il bagno, mentre cammino mi sfilo la camicetta restando in reggiseno e la lancio addosso a lui.

“Insomma! Non mi vorrai far dormire anche stanotte sulle sedie del cortile! Ma lo sai che ci sono quelle galline del vicino che fanno casino! Anzi signorinella, invece di lanciarmi addosso i tuoi vestiti, dimmi che diavolo ho fatto!”

“Non ci arrivi da solo?”

Dico saltando fuori dalla porta del bagno con la mani sui fianchi e l’aria di chi ha ragione al cento per cento.

“Sai, visto che sei tanto esperto di collegamenti informatici, dovresti diventare tanto esperto nel collegare il cervello alla bocca quando decidi di parlare”

Zip si avvicina a me, tiene ancora in mano la camicetta che gli avevo lanciato prima.

“Io lo collego il cervello quando parlo! E adesso che mi ci fai pensare so anche cosa ti ha fatta arrabbiare”

Lo guardo severamente, lui mi guarda nella stessa maniera per qualche istante, poi mi dirigo veloce come un fulmine nuovamente in camera.

“E’ quella cosa che ho detto a tua madre vero?”

Mi passo una mano fra i capelli nervosamente, non gli rispondo subito, lui si avvicina a me e mi prende per un braccio facendomi voltare.

“Rispondimi!”

Scambio di sguardi odiosissimi, lo distolgo per qualche istante.

“Vedo che ci sei arrivato”

Zip tira un sospiro lungo alzando lo sguardo al cielo.

“E io dovrei dormire in mezzo alle galline del vicino, perché ho detto quella stupidaggine?!”

“Stupidaggine? Tu la chiami stupidaggine?! Zip Davis!! TU hai detto a MIA madre e a mio padre li presente che io sono andata a vivere con te perché non ce la facevo più a stare in casa con i miei genitori! Tanto vale dirgli chiaramente che sono due rompipalle rimbambiti! In più hai fatto passare me per una totale cretina, dicendo che da quando vivo qui sono diventata una perfettina! E quindi di conseguenza volevi dire che pure io sono una rompipalle cronica!”

Zip mi ascolta, mi guarda con quell’espressione seria mentre presa dalla troppa rabbia ero rimasta in jeans e reggiseno, tanta era la mia agitazione che nemmeno sapevo cosa fare e in che ordine.

“Ci risiamo”

Dice infine.

“Siamo sempre al solito punto! Possibile che qualsiasi cosa io dica tu capisci la stessa cosa con tre significati diversi! Io non volevo dire questo! Te lo sei inventato tu nella tua testa! Marika!”

Zip cerca di richiamarmi, io continuo a preparare il letto come se niente fosse, spostando nervosamente le coperte, solo dopo poco rispondo.

“E’ perché tu pensi realmente a quelle cose, ma in realtà non hai il coraggio di dirlo chiaramente in faccia! Perciò te le rigiri con quelle frasette preparate al momento, perché non mi dici chiaramente cosa pensi di me? Cosa vuoi che faccia? Come vuoi che io sia?”

Parlo a raffica allargando le braccia e guardandolo, l’aria colpevole di chi forse sa di non essere abbastanza.

“Dimmelo”

Dico infine, lui resta dov’è incrociando le braccia come suo solito.

“Io penso che tu sia una pessima donna di casa, cucini le minestrine e metti la cera al pavimento che puzza di carogne d’api”

Un cuscino vola dritto dal letto alla sua faccia, Zip lo raccoglie.

“Ok, ok, penso solo che la cera alle carogne d’api puzza!!”

Mi dirigo in cucina veloce, lui mi segue.

“Senti piccola, mi dispiace, io non volevo dire quelle cose…”

“Però le hai dette”

“Ok, però le ho dette, ma lo sai, io mi imbarazzo ancora davanti ai tuoi genitori e finisco per dire cose stupide come quelle che ho detto stasera”

“E qui torniamo al punto che devi collegare il cervello!”

Zip nel frattempo si sbottona la camicia togliendosela restando in canottiera, si avvicina.

“Ma è mai possibile che qualsiasi cosa io dica tu senti solo quello che vuoi sentire! Non so mai come comportarmi con te! Un giorno sei così, un giorno sei coso’, un giorno vuoi una cosa e il giorno dopo un’altra ancora completamente diversa! Quando la smetterai di essere così lunatica e inizierai a dirmi chiaramente ciò che pensi e ciò che vuoi! Marika!”

Zip mi blocca in viso fra le sue mani, mi osserva seriamente negli occhi.

“Dimmi che cosa vuoi veramente, cosa ti fa stare bene? Vuoi che la smetto di dire ciò che penso?”

Rimango immobile, ipnotizzata dai suoi occhi che sprofondano nei miei, anche se la mia espressione è sempre severa.

“Vuoi che vado via? Non mi vuoi più vedere? E’ quello che mi stanno dicendo i tuoi occhi”

“Se tu vuoi andare via, vai”

Dico abbassando la voce, ci guardiamo entrambi seri, stacca le mani dal mio viso a si dirige verso la porta riprendendo in mano la sua giacca.

“Bene, se è quello che vuoi vado, finalmente sento dalle tue labbra la verità! Andrò a fare compagnia alle galline del vicino che sicuramente hanno più voglia al dialogo di te!”

“Ecco, va da loro, che magari tra simili vi capite!”

“Piantala di dire sciocchezze! Sei ridicola!”

“Se c’è uno ridicolo sei tu! Ti auguro buona notte!”

“Ti saluto!”

Zip esce di casa sbattendo la porta, rimango sola in casa, cammino veloce dal salotto al bagno dove mi tolgo gli orecchini, passano un paio di minuti e torno in salotto.

Ovviamente per vedere se Zip era rientrato.

Passano dieci secondi, la porta si riapre, Zip compare con la tipica espressione colpevole.

“Abbiamo finito? Posso rientrare a casa?”

La stessa espressione si disegna sul mio viso, l’espressione di chi sa di aver parlato troppo e le parole che ha detto sono state dettate dalla rabbia.

Inizio a camminare velocemente verso di lui, salto sul divano al quale lui si è avvicinato e gli salto letteralmente tra le braccia, rimanendo agganciata ai suoi fianchi con le gambe.

“Scusami Zip”

Sto quasi per piangere, ma come potevo essere stata così stupida? Come potevo aver detto quelle cose così offensive?

“Scusa tu piccola”

Sento le sue mani che accarezzano la nuca e i miei capelli come a dire “tranquilla, sono qui, non me ne vado più”.

“Non dovevo dire quelle cose, sono stata antipatica, e non dovevo tirarti addosso le scarpe, la camicetta e i cuscini…”

“Guarda che ormai sono super allenato a furia di schivare i tuoi lanci di oggetti micidiali, anche se la camicetta è una new entry e devo dire che non mi è dispiaciuta affatto”

“Scemo! Ero davvero arrabbiata!”

“Si è visto piccola”

Le nostre parole si mischiano con i nostri frenetici baci, rimaniamo poi qualche istante così, semplicemente fronte contro fronte, senza dire nulla.

“Non litighiamo più”

Dico infine. Zip ride. Dal salotto mi porta sempre in braccio in camera da letto, i nostri sguardi si incrociano complici e qualche attimo dopo mi trovo distesa sul letto, lui mi sovrasta guardandomi.

“Promettimi che non mi sbatterai mai più fuori di casa mia”

“Lo prometto”

“E ti prometto che non ti lascerò mai, ti amo.”

Mi bacia per l’ennesima volta, qualche minuto dopo ci lasciamo andare entrambi al nostro desiderio.

 

Aprì gli occhi, mi accorsi che stavo piangendo, si, mi svegliai piangendo quella mattina.

Mi girai dall’altra parte del letto, era vuoto.

Era stato soltanto un sogno, probabilmente un ricordo del passato.

Mi alzai da letto ricordando ciò che la mia mente mi aveva ricreato la notte scorsa, non riuscivo a frenare le lacrime.

Mi accarezzai un paio di volte la pancia, come facevo ogni mattina, per augurare buongiorno al mio bambino.

Andai in salotto, poi in cucina, rivivendo i posti del sogno della notte prima.

Mi sentivo stranamente debole.

Arrivai in cucina asciugando le lacrime con il dorso della mano, la sensazione di debolezza persisteva.

“Sto male, dove sei?”

Dissi ad alta voce, presa dalla disperazione e della solitudine.

“Mi avevi promesso che non te ne saresti andato!”

Iniziai a piangere a dirotto, respiravo a fatica, mi accasciai a terra, il mio sguardo si annebbiò.

Un dolore lancinante al ventre.

Ho ancora bisogno di te.

 

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