LA
MIA FAMIGLIA
Sono
nata 26 anni fa in un quartiere della periferia di Londra. Era il 5
Agosto del 1980. Mia madre, Alexandra Black, era una ventenne dai lunghi
capelli mossi e castani, sono sempre stata affascinata dai suoi capelli.
Da piccola non riuscivo ad addormentarmi se non potevo toccarli un po’
prima, arricciarli, arrotolarli attorno alle mie piccole dita.
Era
una ragazza particolare, una hippy che a 14 anni se n’era andata di
casa e aveva vissuto come una vagabonda con il suo gruppo di amici,
guadagnandosi da vivere ricamando cappelli e vivendo alla giornata. Mi
ricordo che quando passava per le stanze della nostra casa, camminava
svelta e leggera come un’ombra, solo i campanellini ai suoi polsi, con
il loro tintinnio, tradivano la sua presenza.
Era
perennemente fuori casa, allestiva bancarelle per le strade dove
esponeva i suoi stravaganti cappelli, incontrava gli amici, passeggiava
per le strade di Londra rimpiangendo la campagna dov’era cresciuta e
tormentandosi come una farfalla in gabbia. Mia madre era uno spirito
libero, il ruolo di casalinga/moglie/madre non le si addiceva per
niente.
Aveva
conosciuto mio padre, Gregory Cooper, due anni prima di avere me,
gironzolando per l’Inghilterra con i suoi amici. Avevano bucato una
ruota del loro furgoncino e mio padre, per loro fortuna, passava di lì
proprio in quel momento. Aveva 2 anni in piu’ di mia madre e lavorava
come meccanico in un’officina di moto. Se la sapeva cavare, quindi,
con i motori, e in un baleno era riuscito a sistemare il guasto al
motore. Quella sera stessa, mia madre dormì a casa sua. Casa che diventò
la nostra, quella in cui nacqui io.
Si
trattava di un miniappartamento all’undicesimo piano di un triste
palazzone, le stanze erano piccole e nella mia mancava perfino la
finestra. Entravi, e ti trovavi in questo minuscolo salottino con un
divano alla parete e la TV, passavi poi per la cucina e di lì ti
trovavi davanti a 3 porte: il bagno, la stanza dei miei e la mia
stanzetta.
Mio
padre se n’era andato di casa a 18 anni, trovando lavoro in quell’officina
e affittando quell’appartamento proprio davanti all’officina. Mia
madre, per amore suo, aveva abbandonato il suo stile di vita vagabondo
vivendo con lui e dandogli una mano ad arrotondare continuando il suo
lavoro con i cappelli. Era una donna molto particolare, fantasiosa e
creativa, ma anche poco affidabile, lunatica, volubile, ‘una foglia
nel vento’, amava definirla mio zio.
Già,
mio zio.
Casper
Cooper era il fratello maggiore di mio padre, quando nacqui io aveva 28
anni. Lavorava anche lui nell’officina, anche se la sua vera passione
era scrivere. Mi ha fatto conoscere lui la letteratura, mi ha trasmesso
lui questa passione.
Casper
è stato per me padre, madre e fratello maggiore al tempo stesso. Lui
c’era quando mia madre svolazzava via avvolta nel suo profumo di
mughetto, lui c’era quando mio padre diventava scorbutico e
imbronciato con una bottiglia in mano, lui c’era quando io restavo da
sola e piangevo in quella piccola, enorme casa desolatamente vuota.
Aveva
un carattere pacifico e amabile, guardava a tutto con dolcezza, non
l’ho mai sentito alzare la voce. Stare con lui mi rilassava, mi
sentivo serena, al sicuro. Le sue braccia erano il mio riparo nei
momenti bui, quando tutto andava storto, lui era lì pronto a consolarmi
e a darmi la forza che mi mancava.
Lui
inoltre ha aiutato i miei anche nelle spese per allevarmi. Sono arrivata
per sbaglio, loro non avrebbero voluto un figlio, erano troppo giovani,
ma qualcosa andò storto e mia madre si prese incinta di me. Aveva 19
anni.
Quando
nacqui, non c’erano abbastanza soldi per pagare tutte le cose che
servono ad un bambino: pappe, seggiolino, pannolini, giocattoli,
eccetera. Mio zio ( il quale, anche se io ancora non lo
sapevo, arrotondava il suo stipendio all’officina con il lavoro di
spacciatore) prese a cuore subito questa bambina caduta fra le braccia
di mia madre quasi per caso. Mi allevò con lo stesso amore che avrebbe
riservato per quel figlio che avrebbe tanto desiderato ma che non arrivò
mai. Mio zio era sterile. Per lui, ero io la sua bambina.
Mia
madre, dal canto suo, cercava anche d’impegnarsi allevandomi al suo
meglio, ma spesso sentiva tutto questo come un peso troppo grande sulle
sue spalle, e allora le passava la voglia di fare qualsiasi minima cosa,
si chiudeva nella stanza da letto dei miei e si metteva a ricamare i
suoi cappelli, lasciandomi nella mia stanzetta. Mio padre era
perennemente a lavoro, servivano molti soldi per pagare l’affitto ed
allevare me.
Non do
colpe ai miei genitori se mi è successo ciò che mi è successo,
d’altronde nemmeno la loro era una situazione facile, cosa avrei
potuto pretendere? Mio padre si ammazzava di lavoro per assicurarmi una
vita dignitosa. Mia madre era una donna particolare, ma mi voleva bene.
I
primi anni non andarono male, noi tre tiravamo avanti come meglio si
poteva cercando di gettare le basi per costruire una famiglia normale,
con il suo appartamentino pulito e curato e soldi a sufficienza per
poter vivere degnamente e magari assicurarmi pure un futuro decente.
Tutto
precipitò poco dopo che ebbi compiuto 6 anni: mio nonno, il padre di
mio padre, morì.
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