- IL DIARIO DI THOMAS A. ANDERSON -

( Re di Zion)

 

 

Desiderio di vendetta

A 9 anni non avevo mai considerato l’eventualità di diventare Re. Indubbiamente, quello fu il periodo più difficile della mia vita. Ho visto il mondo crollarmi addosso. Da quel giorno, nulla più fu come prima. Mai più i racconti e i consigli di mio padre, mai più quella figura angelica di mia madre che mi accarezzava anche semplicemente con la sua voce candida, mai più quel bambino vispo e allegro che giocava felice in giardino e correva per i corridoi del Palazzo, sotto gli occhi pazienti della servitù che veniva ammaliata da quei suoi occhioni verdi e pimpanti. Dopo quel tragico evento, molti mi ricordano come una creatura triste e malinconica, taciturna e introversa, che per certi aspetti faceva anche un po’ pena per le condizioni in cui si è ritrovata all’improvviso.

I più svariati funzionari, storici, filosofi e uomini saggi del tempo mi aiutarono nel mio percorso per diventare autonomo e indipendente, svolgendo al posto mio i vari compiti che aveva mio padre, lasciandomi solo le cose più elementari, in modo da aver tempo per studiare. Il mio tempo libero lo passavo da solo in camera, steso sul letto, a volte piangendo in silenzio. Smisi di giocare, di correre, sinceramente non ne avevo più voglia. E ignoravo il significato della parola “socializzare”…

Non sapevo il motivo o il colpevole dell’atroce omicidio dei miei genitori, nessuno volle dirmelo, me lo tennero tutti nascosto. Più di una volta tentai di scoprirlo, ma addirittura ero sorvegliato a vista persino dai servitori per impedirmi di prendere in mano un quotidiano pur di tenermi all’oscuro della verità.

“No-no-no-no, Sua Maestà, sa benissimo che le è stato proibito leggere i giornali!”

Dicevano, ogni volta che ne arraffavo uno. A quei tempi, per ovvie ragioni, non avevo pieni poteri su Zion, e a nulla valevano le false minacce che facevo per procurarmi una fonte per far luce sul delitto di mio padre e mia madre. << E’ assurdo… >> pensavo, soprattutto quando dicevano che lo facevano per il mio bene. L’unica soluzione era uscire di nascosto da quello che fino ad allora era stato il mio spazio, cioè il Palazzo e i giardini circostanti, per avventurarmi in strada e…comprare un giornale! Per una qualsiasi persona è facile come bere un bicchier d’acqua, per me invece fu come un’avventura. Finiti gli studi quotidiani, dopo pranzo, mi ritirai come mio solito in camera mia. Avevo già preparato tutto. Un travestimento (indossai per la prima volta degli occhiali da sole, poi un berretto un po’ largo per la mia testa che mi copriva un po’ il volto e abiti non usuali, almeno per me) e un piano per uscire dal cancello senza essere visto. Per non uscire dall’uscita principale o da quella secondaria, legai le estremità di alcuni lenzuoli per poi fissare la “corda” alla finestra. Mi feci coraggio e scesi a terra. Fui fortunato che nessuno mi vide dalla finestra del piano inferiore. Riuscii a oltrepassare il cancello senza troppe difficoltà. Finalmente ero in strada, con mia grande soddisfazione! Vidi per la prima volta Zion senza essere accompagnato da nessuno, girando a caso per le strade senza sapere dove esse portavano. E fu proprio per questo che finii dopo qualche mezz’ora di cammino nel quartiere meno affidabile dell’isola. Fu l’unico posto dove per caso riuscii a trovare un giornalaio (avendo casualmente evitato tutti quelli che si trovavano nelle strade principali). Comprai un giornale e cominciai a leggerlo camminando, in trepidazione. Il cuore mi batteva forte.

OMICIDIO ANDERSON: LA POLIZIA BRANCOLA NEL BUIO

L’articolo parlava di cose che alla mia età non avrei mai potuto comprendere appieno, ma capii che i colpevoli erano membri di una setta di esseri umani (a quel tempo non sapevo cosa fossero, ma al momento li immaginai simili a delle persone) che aveva lasciato le sue tracce per rivendicare l’omicidio. Sul giornale c’erano raffigurazioni di disegni orribili tracciati col sangue. Rimasi sconvolto da quelle visioni e da quella notizia. Mi poggiai a un muro leggendo il giornale, che mi copriva la faccia. “Cabal…” ripetevo a bassa voce tra me e me, fino a quando un uomo, vestito con una tunica, mi apparve improvvisamente davanti. “Già, Cabal!” Disse, con voce trascinata, tutt’altro che benevola. Mi spaventai a morte soprattutto quando quell’individuo tirò fuori un coltello. “Preparati a raggiungere i tuoi amati genitori!” disse, per poi allungare il coltello per colpirmi. Con un balzo, saltai all’indietro, finendo con entrambi i piedi piantati sul muro, per poi fare qualche passo all’indietro. I miei primi passi su una dimensione diversa dal pavimento orizzontale li compii in quel preciso istante, senza volerlo, senza accorgermene, in preda alla paura. Un passante (per la cronaca, il suo nome era J.J. Parker…), rimasto nascosto, chiamò già da alcuni istanti la polizia (il cui distretto non era molto lontano dalla zona) insospettito dall’abbigliamento sospetto del membro della Cabal, prima che egli si avvicinò a me. Una volante della polizia arrivò pochi secondi dopo. Da lì scese subito un giovane poliziotto, Tunner, che si avventò coraggiosamente sul tizio prima che questi potesse attaccarmi ancora. Un altro poliziotto corse subito ad aiutarlo. Così Tunner si rialzò da terra, mi vide e mi invitò a scendere. Con passi insicuri, barcollando un po’, tornai al suolo. Quando mi chiese “Qual è il tuo nome, bambino?” e io gli risposi con vocina affannata e acuta “Thomas Angel”, al giovane Tunner venne quasi un infarto. Immediatamente fui riportato a Palazzo, scortato da un’altra volante della polizia. Fuori dal cancello c’era già la governante che aspettava il mio arrivo con aria preoccupata e arrabbiata.

Fui messo in punizione per una settimana, rinchiuso in camera mia per tutto il giorno tranne per quando dovevo seguire le lezioni o dovevo mangiare. La finestra fu blindata, in modo da non permettermi più la fuga. Quella punizione non fu affatto dura per me, dato che passare le giornate in camera era già un mio passatempo abituale. Fu specialmente in quei sette giorni che cominciai a coltivare dentro di me un desiderio assai stranamente deciso e intenso per un bambino di 9 anni…vendetta!

 

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