Desiderio
di vendetta
A
9 anni non avevo mai considerato l’eventualità di diventare Re.
Indubbiamente, quello fu il periodo più difficile della mia vita. Ho
visto il mondo crollarmi addosso. Da quel giorno, nulla più fu come
prima. Mai più i racconti e i consigli di mio padre, mai più quella
figura angelica di mia madre che mi accarezzava anche semplicemente con
la sua voce candida, mai più quel bambino vispo e allegro che giocava
felice in giardino e correva per i corridoi del Palazzo, sotto gli occhi
pazienti della servitù che veniva ammaliata da quei suoi occhioni verdi
e pimpanti. Dopo quel tragico evento, molti mi ricordano come una
creatura triste e malinconica, taciturna e introversa, che per certi
aspetti faceva anche un po’ pena per le condizioni in cui si è
ritrovata all’improvviso.
I
più svariati funzionari, storici, filosofi e uomini saggi del tempo mi
aiutarono nel mio percorso per diventare autonomo e indipendente,
svolgendo al posto mio i vari compiti che aveva mio padre, lasciandomi
solo le cose più elementari, in modo da aver tempo per studiare. Il mio
tempo libero lo passavo da solo in camera, steso sul letto, a volte
piangendo in silenzio. Smisi di giocare, di correre, sinceramente non ne
avevo più voglia. E ignoravo il significato della parola
“socializzare”…
Non
sapevo il motivo o il colpevole dell’atroce omicidio dei miei
genitori, nessuno volle dirmelo, me lo tennero tutti nascosto. Più di
una volta tentai di scoprirlo, ma addirittura ero sorvegliato a vista
persino dai servitori per impedirmi di prendere in mano un quotidiano
pur di tenermi all’oscuro della verità.
“No-no-no-no,
Sua Maestà, sa benissimo che le è stato proibito leggere i
giornali!”
Dicevano,
ogni volta che ne arraffavo uno. A quei tempi, per ovvie ragioni, non
avevo pieni poteri su Zion, e a nulla valevano le false minacce che
facevo per procurarmi una fonte per far luce sul delitto di mio padre e
mia madre. << E’ assurdo… >> pensavo, soprattutto quando
dicevano che lo facevano per il mio bene. L’unica soluzione era uscire
di nascosto da quello che fino ad allora era stato il mio spazio, cioè
il Palazzo e i giardini circostanti, per avventurarmi in strada
e…comprare un giornale! Per una qualsiasi persona è facile come bere
un bicchier d’acqua, per me invece fu come un’avventura. Finiti gli
studi quotidiani, dopo pranzo, mi ritirai come mio solito in camera mia.
Avevo già preparato tutto. Un travestimento (indossai per la prima
volta degli occhiali da sole, poi un berretto un po’ largo per la mia
testa che mi copriva un po’ il volto e abiti non usuali, almeno per
me) e un piano per uscire dal cancello senza essere visto. Per non
uscire dall’uscita principale o da quella secondaria, legai le
estremità di alcuni lenzuoli per poi fissare la “corda” alla
finestra. Mi feci coraggio e scesi a terra. Fui fortunato che nessuno mi
vide dalla finestra del piano inferiore. Riuscii a oltrepassare il
cancello senza troppe difficoltà. Finalmente ero in strada, con mia
grande soddisfazione! Vidi per la prima volta Zion senza essere
accompagnato da nessuno, girando a caso per le strade senza sapere dove
esse portavano. E fu proprio per questo che finii dopo qualche
mezz’ora di cammino nel quartiere meno affidabile dell’isola. Fu
l’unico posto dove per caso riuscii a trovare un giornalaio (avendo
casualmente evitato tutti quelli che si trovavano nelle strade
principali). Comprai un giornale e cominciai a leggerlo camminando, in
trepidazione. Il cuore mi batteva forte.
OMICIDIO
ANDERSON:
LA POLIZIA BRANCOLA
NEL BUIO
L’articolo
parlava di cose che alla mia età non avrei mai potuto comprendere
appieno, ma capii che i colpevoli erano membri di una setta di esseri
umani (a quel tempo non sapevo cosa fossero, ma al momento li immaginai
simili a delle persone) che aveva lasciato le sue tracce per rivendicare
l’omicidio. Sul giornale c’erano raffigurazioni di disegni orribili
tracciati col sangue. Rimasi sconvolto da quelle visioni e da quella
notizia. Mi poggiai a un muro leggendo il giornale, che mi copriva la
faccia. “Cabal…” ripetevo a bassa voce tra me e me, fino a quando
un uomo, vestito con una tunica, mi apparve improvvisamente davanti.
“Già, Cabal!” Disse, con voce trascinata, tutt’altro che
benevola. Mi spaventai a morte soprattutto quando quell’individuo tirò
fuori un coltello. “Preparati a raggiungere i tuoi amati genitori!”
disse, per poi allungare il coltello per colpirmi. Con un balzo, saltai
all’indietro, finendo con entrambi i piedi piantati sul muro, per poi
fare qualche passo all’indietro. I miei primi passi su una dimensione
diversa dal pavimento orizzontale li compii in quel preciso istante,
senza volerlo, senza accorgermene, in preda alla paura. Un passante (per
la cronaca, il suo nome era J.J. Parker…), rimasto nascosto, chiamò
già da alcuni istanti la polizia (il cui distretto non era molto
lontano dalla zona) insospettito dall’abbigliamento sospetto del
membro della Cabal, prima che egli si avvicinò a me. Una volante della
polizia arrivò pochi secondi dopo. Da lì scese subito un giovane
poliziotto, Tunner, che si avventò coraggiosamente sul tizio prima che
questi potesse attaccarmi ancora. Un altro poliziotto corse subito ad
aiutarlo. Così Tunner si rialzò da terra, mi vide e mi invitò a
scendere. Con passi insicuri, barcollando un po’, tornai al suolo.
Quando mi chiese “Qual è il tuo nome, bambino?” e io gli risposi
con vocina affannata e acuta “Thomas Angel”, al giovane Tunner venne
quasi un infarto. Immediatamente fui riportato a Palazzo, scortato da
un’altra volante della polizia. Fuori dal cancello c’era già la
governante che aspettava il mio arrivo con aria preoccupata e
arrabbiata.
Fui
messo in punizione per una settimana, rinchiuso in camera mia per tutto
il giorno tranne per quando dovevo seguire le lezioni o dovevo mangiare.
La finestra fu blindata, in modo da non permettermi più la fuga. Quella
punizione non fu affatto dura per me, dato che passare le giornate in
camera era già un mio passatempo abituale. Fu specialmente in quei
sette giorni che cominciai a coltivare dentro di me un desiderio assai
stranamente deciso e intenso per un bambino di 9 anni…vendetta!
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